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La logistica internazionale ai tempi del covid19, tra aerei rimasti a terra e normative che cambiano di continuo

La logistica internazionale ai tempi del covid19, tra aerei rimasti a terra e normative che cambiano di continuo

Terminal portuali ingolfati di container che non possono essere consegnati, impossibilità di trasportare merci nelle stive degli aerei passeggeri e una riduzione degli ordini fino al 30%. RifLine fa il punto sul settore, tra difficoltà attuali e prospettive future

Siamo entrati nella Fase 2 della gestione della pandemia da covid19. Molti cittadini possono finalmente concedersi qualche piccola libertà in più, in tanti sono tornati sul luogo di lavoro dopo 2 mesi di stop, ma per moltissimi settori economici non sono affatto finite le difficoltà, e il ritorno alla normalità sembra una chimera lontana. Tra questi va sicuramente annoverato quello della logistica, un comparto strategico che consente lo sviluppo e la sopravvivenza dei distretti industriali, la distribuzione delle materie prime e dei prodotti finiti.

Tra le problematiche principali che affliggono il settore in questo periodo, c’è la drastica riduzione del numero di voli passeggeri da e per l’Italia, come spiega RifLine, società italiana che si occupa di logistica internazionale. Nel nostro paese, la maggior parte delle merci viaggiano proprio nelle stive di questi aerei e ora, con circa i 2/3 della flotta a terra, le possibilità di trasporto sono decisamente meno del normale. Inoltre, la chiusura di negozi, magazzini e la maggior parte della delle attività, ha bloccato le consegne di prodotti già ordinati, andando ad intasare i terminal portuali. Questo comporta un aumento dei costi, per coprire un affitto del locale più lungo, che verranno addebitati al destinatario della merce, che dovrà, necessariamente rifarsi sul cliente finale.

“Quando è stato annunciato il lockdown in Italia, c’erano decine di navi in arrivo e una volta giunte nei porti non c’era più nessuno che potesse gestire questi carichi. – Spiega Francesco Isola, CEO di RifLine – In questo momento noi abbiamo il nostro terminal di Pomezia pieno di container con merce che dobbiamo consegnare ai clienti che solo ora stanno riaprendo e attendono di poter riaprire per ricevere la merce, e quasi tutte le compagnie si trovano nella nostra stessa situazione. Questo ha generato anche un aggravio per gli importatori che hanno dovuto sostenere i costi della sosta presso terminal portuali, gravando ulteriormente sulla difficile situazione di aziende che si trovano chiuse da mesi.”

Un altro ostacolo importante che sta ritardando le spedizioni delle merci è il continuo cambio delle normative vigenti. La pandemia in corso ha creato condizioni mai viste prima, spingendo i singoli stati ad emanare provvedimenti normativi diversi al mutare delle condizioni generali. Ne è stato un esempio anche il nostro paese, che nel giro di un paio di mesi ha visto la divulgazione di numerosi DPCM. Ritardi, però, che possono causare forti disagi se la merce in partenza è rappresentata da Dispositivi per la Protezione Individuale.

“Si spediscono tonnellate e tonnellate di mascherine, in una situazione molto fluida dal punto di vista della regolamentazione. – Prosegue Isola – Ma le norme che regolano l’importazione di queste merci cambiano e si adattano a seconda degli eventi, e questo fa sì che ci sia una grande confusione. Quelle che oggi sono delle normative che ti permettono di importare, domani potrebbero non essere più valide. Oltre ad esserci pressione nelle tariffe dei trasporti, gli imprenditori si trovano a volte nella situazione paradossale di dover pagare penali alle compagnie senza aver potuto trasportare la merce.”

Una confusione generale che, con ogni probabilità, produrrà un aumento dei costi a carico del consumatore finale, e una riduzione degli ordini da parte di imprenditori e commercianti, che vuol dire anche un’offerta minore di prodotti.

“Alcuni non importano, perché non sanno se e quando potranno tornare a lavorare e di quanta e quale merce avranno bisogno. – Continua il CEO di RifLine – Un esempio è rappresentato dal settore abbigliamento che ha importato prima della chiusura la linea primaverile, non l’ha venduta e ora dovrà aspettare il prossimo anno per poterla proporre ai clienti. Le grandi catene di distribuzione prevedono ad oggi una riduzione degli incassi di circa il 70% da qui a settembre, e questo li rende molto più cauti nell’ordinare nuova merce, con il rischio di un nuovo lockdown al risalire del numero dei contagi. Parlando più in generale, tutti gli altri ordini di merci non collegate all’emergenza coronavirus hanno subito una forte flessione, tra il 20 e il 30%.”

“Per quanto riguarda il futuro del settore, questo continuerà sicuramente a mantenere il suo ruolo strategico ma, se vogliamo che le cose funzionino meglio e più velocemente, è necessario fare qualcosa. Si sente spesso chiedere interventi infrastrutturali, per facilitare lo spostamento delle merci, ma nell’immediato credo ci sia bisogno di uno snellimento delle procedure burocratiche, che non vuol dire aprire la porta ad ogni genere di merce senza alcun controllo” conclude Francesco Isola.